STRATEGIA DEL MADE IN ITALY | Su cosa si punta?

La Settimana della Moda che si sta concludendo a Milano è l’occasione per una riflessione sul settore.

Due studiosi (Ailwadi e Keller*) sostengono che You are what you sell”

Che cos’è quindi il Made in Italy? Che cosa caratterizza il “sistema moda Italia”? Ecco una lista che riassume alcuni dei punti di forza.

  1. Efficace combinazione di artigianalità creativa e tradizionemoda-made-in-italy_marketing39
  2. Mantenimento di una struttura “a filiera”
  3. Combinazione tra outsourcing e produzione della fascia-medio alta mantenuta in Italia
  4. Investimenti nella distribuzione con l’obiettivo di essere il più possibile a contatto con il cliente finale
  5. Offerta che sia al tempo stesso emozionante e concreta
  6. Focus sulla creazione di rapporti saldi e duraturi con il mercato più che sull’infatuazione del momento per un brand/prodotto
  7. Capacità di anticipare desideri e tendenze nei gusti del pubblico e abilità comunicativa.

Essenziale è poi la capacità di mettere in campo una coerente strategia di marchio (brand strategy). La chiave di volta sta nel cogliere la quintessenza del brand, della maison per tradurla in uno spazio concreto (boutique, punto vendita), in forme e colori che siano in grado di entrare direttamente nella mente del cliente finale e suscitare qualcosa: un’emozione, un desiderio, un’immagine, un ricordo. Questi diventano poi i punti cardinali che guidano le decisioni di acquisto e successivamente contribuiscono ad ottenere una “fedeltà” al brand.

In questo scenario assumono un ruolo indispensabile i cosiddetti independent retailers non solo come nodi chiave nella catmoda-made-in-italy_marketing39ena distributiva ma anche come “educatori” del mercato, nel senso che influenzano le preferenze e i desideri della clientela finale. Inoltre, se prima design, sourcing e branding erano una prerogativa esclusiva e diretta del produttore / casa di moda, ora le figure del buyer e dei key retailers consentono di integrare queste tre funzioni insieme ad un tipo di comunicazione (di massa) del marchio.

A lato, ma non in senso “marginale”, si trovano i social media, potentissimi mezzi di comunicazione, dialogo e di coinvolgimento del pubblico. Social networks come Facebook, Twitter, Linkedin e blog hanno ormai una grande importanza. Una recente ricerca pubblicata da HubSpot segnala, nel corso del 2011, un tasso di crescita del 50% nelle spese di marketing destinate all’Inbound Marketing (tipologia di marketing basata sulla pubblicazione di contenuti utili, via blog, social network e altri media al fine di portare gli utenti/clienti verso l’impresa). Inoltre, il 62% delle imprese intervistate considera i social media la fonte più importante di leads negli utlimi sei mesi del 2011. Anche dal lato dei costi ci sono risultati interessanti, se si considera infatti il costo per ogni lead generato, nel 2011, quello associato ai social media è inferiore rispetto ad altri canali tradizionali quali telemarketing, direct mail, ecc.

Condizione necessaria per poter trarre il massimo da questi nuovi strumenti è la costanza e l’investimento di risorse soprattutto in termini di persone e di tempo. L’acquisizione di nuovi potenziali clienti è infatti direttamente proporzionale alla frequenza dei post e all’intensità dell’attività di blogging. Emergono così nelle aziende, figure ad hoc, dedicate a questa attività e capaci di sviluppare campagne basate sui contenuti del brand senza però focalizzare l’attenzione direttamente su di un prodotto specifico.

Le case di moda del Made in Italy e i principali buyers si muovono già in tal senso: Giorgio Armani, Dolce & Gabbana e Gucci sono tra i più presenti sui social networks dove nascono e si sviluppano costantemente  “conversazioni” che possono poi portare in futuro ad acquisti anche tramite le piattaforme digitali a disposizione. L’abilità sta nel rendere i consumatori i veri protagonisti della loro shopping experience fianco a fianco con i loro brand preferiti.

 

*Ailwadi, K.L. and Keller, K.L. (2004), “Understanding retail branding: conceptual insights and research priorities”, Journal of Retailing, Vol. 80 No. 4, pp. 331-42

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