L’alleanza tra Multi-Consult e Confartigianato Vicenza a supporto delle PMI

Tra le principali criticità che le PMI devono affrontare nell’approcciare i mercati esteri si trovano: la ricerca di potenziali partner e la gestione delle trattive e delle relazioni.

Un aiuto concreto in tale ambito è stato offerto dal progetto “Internazionalizzazione delle imprese – Assistenza Commerciale” promosso dal Cesar di Confartigianato Vicenza in collaborazione con Multi-Consult.

L’alleanza che è nata tra Multi-Consult e Confartigianato Vicenza ha riguardato un primo gruppo di 6 aziende metalmeccaniche che ha appena concluso un percorso di formazione e consulenza commerciale finalizzato proprio al supporto e all’accompagnamento della loro crescita su nuovi mercati.

Si sta ora valutando l’avvio dello stesso percorso per un altro gruppo di aziende.

Quella tra Multi-Consult e l’associazione è una collaborazione in crescita e rappresenta un buon punto di riferimento per i servizi a supporto dell’internazionalizzazione delle PMI.

One thought on “L’alleanza tra Multi-Consult e Confartigianato Vicenza a supporto delle PMI

  1. Mi trovo solo parzialmente d’accordo con la lerttua che Stefano offre della nuova legge sul made in Italy. La legge era necessaria: l’Italia era, infatti, l’unico paese europeo ad esserne sprovvisto (in questo senso, la legge recepisce una direttiva dell’unione europea). La legge precedente era piuttosto permissiva e per questo di fatto inutile in tempi di globalizzazione spinta: bastava localizzare una fase del processo produttivo (anche la semplice etichettatura) per poter legittimamente utilizzare il marchio made in Italy. Se queste “maglie larghe” hanno inizialmente agevolato le nostre medie imprese nel delicato processo di riorganizzazione dei propri processi industriali su scala internazionale senza perdere in termini di valore percepito sui mercati finali, non sono pif9 oggi necessarie. Anzi dirf2 di pif9 poteva essere molto pericoloso non avere una legge pif9 restrittiva. Provo a spiegarmi. Proprio le medie imprese hanno, infatti, imparato nel tempo a proteggere la propria “italianite0” con il brand, con la comunicazione e con l’organizzazione delle reti distributive (franchising). Prendiamo il caso Geox che Stefano cita. E’ l’innovazione di prodotto (la scarpa che respira), il marchio di qualite0 geox e solo in misura inferiore il made in Italy che giustificano il valore del prodotto. Se domani il consumatore trova la dicitura made in Romania nelle scarpe che acquista in un punto vendita Geox, puf2 forse restare un po’ spaesato inizialmente. Sicuramente perf2, alla fine, non potre0 non apprezzare il prodotto (visto che la qualite0 percepita complessiva dipende molto da altre variabili) e a termine anche la “trasparenza” dell’azienda che non ha paura di dichiarare con sincerite0 dove sono state fatte le scarpe. Questo vale anche per brand pif9 legati alla tradizione italiana come Tod’s che gie0 da tempo hanno adottato questa politica senza tracolli nelle vendite. Direi che per i brand italiani consolidati questa nuova legge avre0 pif9 vantaggi che svantaggi permettendo anzi di recuperare in termini di reputazione del marchio e di social corporate responsability. Paradossalmente e8 proprio il mondo artigianale e della piccola impresa (oggi grandi sostenitore del provvedimento normativo) quello che ha pif9 da perdere da questa legge. Le imprese no-brand dei distretti o quelle del medio di gamma che hanno giocato sull’effetto trascinamento del brand ombrello made in Italy (magari delocalizzando per recuperare sui margini) si trovano oggi a mete0 del guado, avendo armi spuntate per affrontare la globalizzazione. Gli artigiani da soli, se non sono inseriti (su questo concordo con Stefano) in percorso di innovazione industriale rischiano di scivolare verso il folklore, magari supercertificato made in Italy, ma sempre folklore. Con la possibilite0 di creare a termine una grande confusione agli occhi del consumatore e per certi versi di avvantaggiare anche i nostri competitor: come a Venezia dove per prime le vetrerie vendono “prodotti cinesi” a prezzo maggiorato sapendo che il turista associa naturalmente il fatto che comprandolo a Murano il prodotto sia stato fatto a Murano.In sostanza questa nuova legge ci costringe ad “anticipare” un dibattito che quella precedente a maglie larghe ha solo rimandato. Un dibattito che e8 cruciale in un’epoca di globalizzazione e che riguarda la capacite0 di valorizzare l’originalite0 italiana nel processo di innovazione e pif9 generale l’approccio alla modernite0 della societe0 italiana. E’ proprio questa diversite0 che ci ha reso interessanti a livello internazionale: la capacite0 di sapere coniugare saperi artigianali con processi industriali moderni, puntando su variabili (estetica , qualite0, stile) che fino a pochi anni fa erano considerate soluzioni decadenti per il capitalismo globale. In realte0 sappiamo oggi, che erano e che sono sulla frontiera della nuova modernite0. Insomma come salvare il bambino dall’acqua sporca, valorizzando in modo pif9 attento la specificite0 del processo di innovazione italiano che fa ancora in larga parte affidamento alla rete di partner qualificati sul territorio? In questo caso il made in e8 inutile perche9 ci dice solodove e8 stato “fatto” e non dove, come e8 perche8 stato “pensato”, cosa che e8 di gran lunga pif9 interessante per il consumatore attento oggi alla dimensione immateriale del prodotto pif9 che a quella materiale (che viene data per scontata). Qualche soluzione la possiamo trovare osservando cosa accade per aziende/territori che pur non operando sui nostri settori industriali hanno di fatto puntato molto su qualite0 ed estica. Ad esempio, Apple su ogni prodotto scrive molto chiaramente che e8 stato designed by Apple in California e Assembled in China. Puf2 sembrare un’etichettatura scontata ma non lo e8. Scompare il “made in” e compare il designed (la testa) e l’assembled (le braccia). E’ chiaro chi ha pensato e chi ha realizzato. Con una non piccola particolarite0: il design e8 stato fatto da Apple in California, reso possibile naturalmente dalla grande capacite0 dell’azienda stessa ma anche di quella rete di innovatori che sono presenti sul territorio (la silicon valley). Forse proprio da queste esperienze potremmo partire per aprire un dibattito sul made in Italy. Credo infatti molto di pif9 in operazioni di comunicazione e di trasparenza che siano in grado di coinvolgere il consumatore, facendogli conoscere il significato dell’italianite0 e dell’innovazione italiana pif9 che in operazioni di solo controllo doganale ed etichettatura restrittiva. Marco P.s. Chi pensa che questa nuova legge possa essere un bastione contro la gloabalizzazione mi sembra un po’ naif. Se alla globalizzazione chiudi la porta rientra dalla finestra. Basta leggere la cronaca locale dei giornali per sapere di laboratori aperti (per lo pif9 da cinesi) nel cuore dei nostri distretti per lavorare per conto dei nostri brand. Sembra paradossale ma la nuova legge potrebbe ottenere l’effetto contrario: pif9 immigrazione e sempre meno made in Italy.

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